Sabato, 13 Luglio 2013 19:54

Torniamo a Lampedusa, per riflettere sulla mutazione epocale

Scritto da  Gerardo

Data la sua attualità, ripubblichiamo un intervento già apparso su asfer.it nel giugno del 2011.
Si tratta di un documento, redatto dal nostro Direttore, che valeva come invito a farsi pellegrini al Santuario della Porta aperta memori delle stragi mute del mediterraneo.
Buona lettura!




Una visita a Lampedusa, paradigma della contemporanea mutazione epocale
di Arnaldo Nesti


Sono arrivato, per la prima volta, a Lampedusa in volo da Bologna in un pomeriggio domenicale. L’isola la più estesa delle Pelagie nel cuore del Mediterraneo, mi è apparsa subito nella sua luminosità. Ospitato in un elegante hotel, mi sono trovato ben lontano dal retroscena come quello decritto in un romanzo di Di Luigi. In esso un giovane lavora per un ente che si occupa del primo soccorso ai sempre più numerosi disperati che approdano lungo le coste del nostro paese, ne deriva una realtà che viene ben indicata dal titolo “L’odore del dolore” (Roma, 2007).
All’indomani mi sono messo in cammino per orientarmi nell’isola. Sono stato in centro e poi ho chiesto del comune e della parrocchia. Ho potuto raccogliere alcune informazioni. Ringrazio ancora a distanza di settimane il parroco don Stefano Nastasi.
In principio era un’isola di passaggio conficcata nel cuore del Mediterraneo; veniva usata come piazzola di sosta per le flotte Greche e Fenicie, poi i romani la utilizzarono come base per la produzione di pesce e derivati; per i pirati Arabi era un rifugio; per il Governo americano il posto perfetto per una stazione radio della NATO. Ma dagli anni ‘90 ad oggi Lampedusa è più conosciuta per l’ingente numero di immigrati che dall’Africa si riversa sulle coste Italiane, al punto che alcuni sono arrivati a definirla La Porta d’Europa. Che tipo di porta?
Nel 2009, dopo che in un anno le coste di Lampedusa avevano visto arrivare flotte di barconi per un totale di 30. 000 immigrati, al momento del mio arrivo il centro per clandestini (CTP) è stato chiuso e le strutture di accoglienza sono vuote. Ma ben presto la situazione è precipitata. Centinaia e centinaia sbarcano a Lampedusa.
Attraversando l’isola, in una delle prime mattine, dietro alcune informazioni, arrivo alla Porta di Lampedusa - Porta d'Europa”, il monumento dedicato alla memoria dei migranti che hanno perso la vita in mare.
L’opera realizzata da Mimmo Paladino, è una porta di circa cinque metri di altezza e tre di larghezza, in ceramica refrattaria che riflette la luce, collocata sul promontorio in contrada Cavallo Bianco rivolta in direzione del continente africano.
"Questa nuova Porta di Paladino, ispirata alla drammatica vicenda delle migliaia di migranti che, affrontando incredibili avversità, giungono a Lampedusa alla disperata ricerca di un destino meno sofferto, vuole anch'essa evocare una 'terribile allegoria' come è stato osservato , quella degli uomini, delle donne e dei bambini che, fuggendo da insopportabili condizioni di vita, riescono a raggiungere stremati, l'approdo in Europa. Ma anche e soprattutto quella, che diventa 'memoria dolente' di quanti, nella sorda indifferenza del mondo nessuno sa dire quanti siano, hanno invece perso la vita in mare nel tentativo di realizzare il sogno di una nuova e più dignitosa esistenza. Questa scultura di Paladino, appare ed è, in effetti, una sorta di sacrario laico, che affida drammaticamente alla storia, la memoria di una strage senza".


Mi sono fermato a riflettere davanti alla Porta avvolto dal silenzio del mare. Avrei voluto deporre un fiore. Ma come e dove?Molti sono i pensieri che affiorano. Il primo, di fronte al mare silente ma, al tempo stesso impietosamente aggressivo mi è venuto di pensare agli aspetti di questa” guerra impietosa” di cui spesso non ci si rende conto ancora abbagliati dall’illusione che caduto il muro di Berlino, per dirla con una frase poco intelligente, che «la storia è finita» e che il mondo sorto dal crollo del comunismo, regolato dalle regole armoniche di tipo capitalistico, sarebbe stato il migliore dei mondi possibili.
Nel giro di pochi anni si deve fare i conti con la storia che sembra accelerare i suoi ritmi. Popoli e aree del mondo, in modo repentino e imprevedibile si affacciano alla ribalta della storia e rivendicano i loro diritti a esistere.
Va corretta l’inaccettabile logica che ritiene normale la disuguaglianza di partenza tra gli uomini per cui alcuni sono destinati a una vita miserabile. Il mondo intero è un turpe teatro di disuguaglianza. I profughi che arrivano alle nostre coste provengono da questo mondo di esclusi a priori. E’ stato scritto “ questi corridori nella corsa della vita sono condannati a partire quando gli altri sono quasi già arrivati e quindi perdenti già prima della gara”. Quanti arrivano a Lampedusa appartengono a dannati della terra, giustamente desiderosi di vivere con un minimo di dignità.
Stando di fronte alla porta che in qualche modo è una croce sul mediterraneo, cimitero di uomini e di donne naufragati senza nome. Per rifarsi a una parabola evangelica questi operai non hanno avuto la chiamata e nemmeno il salvagente dell’ultima ora: sono stati cancellati dal mare come se non fossero mai esistiti e poi sepolti senza nome. Di molti, nessuno saprà nemmeno che sono morti. A essi è stato tolto anche il minimo di una dignità, il nome.
Dinanzi al dilagare di confusione, di volgarità, della rozzezza, della prepotenza, corruzione, sconcezza che sommerge il Bel Paese come liquami che salgano dalle fognature, è forte la tentazione di arrendersi, di lasciarsi andare, di credere che l’andazzo disgustoso sia uno stadio ultimo, che una vera mutazione antropologica abbia creato un nuovo tipo d’uomo, un non-cittadino, e che questa specie, nella selezione darwiniana, sia fatalmente dominante’indifferenza diffusa che mette in soffitta i richiami alla Costituzione è sintomo, fra i tanti della involuzione etica in atto. Che pensare, peraltro di un mondo di battezzati di cui si palesa ogni giorno di più, il senso della disaffezione etica ben al di là dell’appartenenza formale?

Nonostante tutto sono convinto che c’è un’altra Italia possibile, rispetto a quella che oggi subiamo. Non è il caso di fare inchini al mondo così com’è e come esso pretende, anche perché, se proprio si è costretti a farlo, ci si può inchinare come Bertoldo, che si piegava davanti ai potenti, ma voltandosi all’altra parte. Mentre sto scrivendo queste pagine vengo a conoscenza di quanto osserva il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una lettera inviata allo scrittore Claudio Magris e pubblicata il 6 giugno sul Corriere della Sera. Nel suo intervento pubblicato sabato, dopo il naufragio al largo della Tunisia del peschereccio partito dalla Libia, Magris aveva rilevato come "le tragedie odierne dei profughi in cerca di salvezza o di una sopravvivenza meno miserabile che periscono, spesso anonimi e ignoti, in mare non sono meno dolorose, ma non sono più un'eccezione sia pur frequente, bensì una regola", rappresentando una "cronaca consueta" e che "non desta più emozioni collettive", ma anzi provoca "assuefazione che conduce all'indifferenza". "Caro Magris - risponde oggi il Capo dello Stato sul quotidiano di via Solferino - lei ha dolorosamente ragione. Tocca noi tutti l'assuefazione alle tragedie dei «profughi in cerca di salvezza o di una sopravvivenza meno miserabile» che periscono in mare. "Ma se in qualche modo - si chiede il capo dello Stato - è istintiva l'assuefazione, è fatale anche che essa induca all'indifferenza? A me pare sia questa - risponde - la soglia che non può e non deve essere varcata. Se è vero, come lei dice, che la democrazia è tale in quanto sappia «mettersi nella pelle degli altri, pure in quella di quei naufraghi in fondo al mare», occorre allora scongiurare il rischio di ogni scivolamento nell'indifferenza, occorre reagire con forza - moralmente e politicamente - all'indifferenza: oggi, e in concreto, rispetto all'odissea dei profughi africani in Libia, o di quella parte di essi che cerca di raggiungere le coste siciliane come porta della ricca - e accogliente? - Europa". "La comunità internazionale, e innanzitutto l'Unione europea, non possono restare inerti - conclude Napolitano - dinanzi al crimine che quasi quotidianamente si compie organizzando la partenza dalla Libia, su vecchie imbarcazioni ad alto rischio di naufragio, di folle disperate di uomini, donne, bambini…. Ma è un crimine che si chiama «tratta» e «traffico» di esseri umani, ed è come tale sanzionato in Europa e perfino a livello mondiale con la Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite nel 2000. Stroncare questo traffico, prevenire nuove, continue partenze per viaggi della morte (ben più che «viaggi della speranza») e aprirsi - regolandola - all'accoglienza: è questo il dovere delle nazioni civili e della comunità europea e internazionale, è questo il dovere della democrazia". Mi auguro che queste parole trovino ascolto. Grazie presidente!
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